Il Mantello della Giustizia – Luglio 2019
di Stefano Tarocchi • Il percorso sui testi giovannei, che caratterizza le liturgie del tempo pasquale nelle domeniche Quinta e Sesta di Pasqua, in quest’anno 2019 è stato particolarmente impreziosito con la lettura di larghi tratti del capitolo 21 del libro dell’Apocalisse di Giovanni, l’ultimo scritto del Nuovo Testamento.
Userò in queste brevi note una delle preziose traduzioni di Ugo Vanni, uscita postuma da pochi mesi in due volumi (il primo sul testo e sulla sua struttura, il secondo il commentario) per i tipi della Cittadella: traduzioni, si noti, differenti e complementari, e che – soprattutto nel primo volume – cercano di rendere la preziosità ruvida ed evocativa del testo originale, con tutti i richiami che rivolge al lettore/interprete. E Vanni ci riesce ottimamente.
Dopo aver descritto la nuova creazione, nei primi nove versetti del capitolo 21 dell’Apocalisse, con il richiamo al «cielo nuovo e della nuova terra» – non c’è più il mare, con la sua simbologia negativa –, ecco lo sguardo del lettore del libro si sposta verso Giovanni, il veggente del libro dell’Apocalisse, che contempla la città Santa, ad un tempo sposa e città, che discende dal cielo, dalla stessa altezza di Dio «pronta come una sposa che è diventata bella per il suo sposo».
È in quel momento che il libro rammenta la luce potente che deriva dal trono («la città non ha bisogno del sole, né della luna che facciano luce: infatti la gloria di Dio la illuminò e la sua lucerna è l’Agnello»: Ap 21,23), e annuncia la grande speranza divina: l’abitazione di Dio con gli uomini, che compirà realmente l’alleanza. Così egli sarà il Dio con loro e il loro Dio, e tutti gli uomini della terra saranno il suo popolo.
È allora che il libro dell’Apocalisse precisa l’intervento divino nella storia redenta: Dio asciugherà ogni lacrima dagli occhi degli uomini: non ci sarà più la morte, né il dolore e il lamento, né la fatica dell’esistenza: infatti, nella nuova creazione «le cose di prima passarono».
Proprio in quell’attimo la voce che proviene dal trono proclama: «Guarda: sto facendo nuove tutte le cose».
Quel Dio, Alfa e Omega della storia, e suo inizio e compimento, e che darà in dono i suoi beni a chi avrà condiviso la vittoria col Cristo – come troviamo sette volte nelle sette lettere alle sette chiese – : «Colui che vince avrà in eredità tutto questo; io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio». Questo significa un’alleanza con ogni singola creatura della storia umana.
Al contempo si annuncia la sorte per quanti, invece, dovranno uscire dalla città di Dio, cui è riservata la seconda morte, come dice Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature: «guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no‘l farà male». Così il libro della rivelazione di Giovanni: «i vili, quelli senza fede, gli abominevoli, gli uccisori, gli impudichi, i fattucchieri, gli idolatri e i menzogneri».
Il grande affresco del capitolo 21 di Apocalisse si chiude con uno sguardo alla città santa, nella sua duplice immagine di donna e di città, appunto l’abitazione di Dio: «la città santa, la Gerusalemme nuova, la vidi anche discendente dal cielo, da Dio, già preparata come una fidanzata che si è adornata per il suo sposo. E udii anche una voce grande dal trono che diceva: «Ecco la tenda di Dio insieme agli uomini! E metterà la tenda con loro ed essi saranno i suoi popoli ed egli Iddio con loro, sarà il loro Dio».
L’abitare di Dio con gli uomini utilizza la stessa terminologia del prologo del Vangelo di Giovanni: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). I termini del testo originale greco, verbo e sostantivo, infatti, sono ricalcati sul termine ebraico shekhinah, ovvero la dimora divina. Il totalmente Altro divino diventa l’assolutamente Vicino.
C’è un ultimo sguardo che il veggente di Pàtmos dedica alla città santa: uno dei «sette angeli – quelli che avevano le sette coppe, che erano pieni delle sette piaghe ultime… mi trasportò nello Spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa Gerusalemme: discendeva dal cielo, da Dio avente la gloria di Dio (Ap 21,9-10).
Quella città che abitano Dio e l’Agnello che, ha in Dio e nell’Agnello la sua sola ed unica misura.