Oltre il Padre Nostro: la preghiera di lode al Padre di Gesù

«Ti benedico, o Padre…» 

 

Il Mantello della Giustizia – Agosto 2023

di Stefano Tarocchi · Nel Vangelo secondo Matteo, dopo il lungo discorso nel quale Gesù istruisce i discepoli per inviarli nella loro missione, che li fa divenire apostoli (Mt 10,1-42), e poco prima dell’insegnamento sul sabato (Mt 12,1-13) che si conclude con la decisione degli avversari di una condanna a morte (Mt 12,14), viene pronunciata una severa invettiva contro le città di Corazìn e di Cafàrnao che non hanno accolto le sue parole e non si sono convertite (Mt 10,20-24).  

È in questo preciso punto del vangelo di Matteo che Gesù pronuncia una intensa preghiera di lode al Padre: «in quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). E si conclude così: «sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Mt 11,26). 

Alcuni autori hanno notato, la novità dell’“identità profetica” di Gesù: non si rivolge ai migliori, i «sapienti», e i «dotti», coloro che sono attrezzati per ogni cosa, ma si è rivolto ai «piccoli», coloro che sono comunque svantaggiati: un tema ricorrente nel Benedictus e nel Magnificat (cf. Lc 1,48. 68).  

I «piccoli» dipendono sempre da altri: ad esempio, i bambini, come metafora del nuovo essere dei credenti in Gesù. Anche Gesù – scrive François Bovon – è uno di questi bambini: «non porta forse il titolo di “figlio”? Senza essere “figlio” (con la minuscola), non sarebbe “Figlio” (con la maiuscola»). 

L’orazione di Gesù ha quindi un tenore molto particolare. Intanto, si trasforma soprattutto e gradualmente in una rivelazione del suo rapporto di Figlio con il Padre: «tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27). 

Quindi la sua parola di Gesù diventa un invito rivolto a coloro che accolgono la sua parola: «venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30). 

Se il “giogo” normalmente indica la sapienza di Dio, la sua parola, allora capiamo che egli è divenuto la piena manifestazione di Dio. L’affermazione «prendete il mio giogo», parallela all’iniziale «venite a me», rivolta da Gesù a coloro che sono affaticati e gravati dai pesi che devono portare, indica Gesù come colui che resta mite nonostante tutto.  

Nel racconto parallelo del Vangelo di Luca questa lode è inserita non appena sono rientrati i settantadue discepoli del nuovo invio missionario (Lc 10,1-72), che segue all’invio dei dodici (Lc 9,1-10): «in quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli».  

Anche questa versione della preghiera si conclude con un’affermazione solenne: «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Lc 10,21). 

Naturalmente, non è il caso di parlare dello straordinario rapporto di Gesù con il Padre che si richiama alla preghiera del Padre Nostro (Mt 6,9-13; Lc 11,1-4). 

Peraltro, la tradizione di Luca adatta direttamente ai discepoli quell’insegnamento che si aggiunge all’esclamazione di lode, e completa l’insegnamento sul rapporto speciale di Gesù con il Padre: «rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono» (Lc 10,23-24).  

Anche Matteo ha dedicato questo logion ai discepoli, ma lo troviamo poco più avanti, nel discorso che contiene le parabole: «beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e (molti) giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!» (Mt 13,16-17). Da notare la mutazione da «profeti e re» (Lc) a «profeti e giusti» (Mt).

È significativo inoltre che l’avverbio usata da Luca (“in disparte”, “in privato”), abbia comunque un riferimento alla preghiera (Mt 14,23: «congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare»), per toccare la trasfigurazione sul monte (Mc 9,2; Mt 17,1), o comunque il rapporto con i discepoli (Mc 6,31.32; Mc 9,28; Mc 13,3; Mt 17,19; Mt 20,17; Mt 24,3; Lc 9,10), oppure alle azioni di Gesù, quando opera delle guarigioni (Mc 7,33: «lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua»). 

Anche nel parallelo di Marco del discorso che contiene le parabole (Mc 4,1-34), della triplice tradizione – da Marco, a Matteo e Luca – l’espressione denota la differenza fra l’insegnamento pubblico di Gesù e quello rivolto ai discepoli: «senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,34). 

La domanda da farci è la seguente: se anche Matteo non lo dice espressamente, i destinatari, o i primi ascoltatori di queste parole, sono proprio i discepoli. Sia Matteo che il parallelo di Luca nella preghiera di lode, introdotta con un verbo molto solenne, esplicitano la duplice azione divina che nasconde la sua azione a coloro che pensano di poter sussistere a prescindere da Dio e dagli altri: appunto i sapienti e gli intelligenti – magnificamente interpretati al tempo da scribi e farisei– (e oggi?), mentre Dio si rivela ai piccoli, quelli che dipendono in tutto e per tutto dagli altri.  

Questo è il disegno divino, la sua Buona Volontà, come risuona nell’inno degli angeli ai pastori, proprio del Vangelo di Luca (Lc 2,14). 

A ben pensare, e in conclusione, un singolare percorso dietro la formazione, a partire dalla tradizione orale, di quello che sono diventati nel tempo i nostri evangeli Sinottici. 

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