Il Mantello della Giustizia – Aprile 2018
La «tunica» e la «rete» che non si spezzano
di Stefano Tarocchi • La narrazione pasquale del quarto vangelo presenta, fra gli altri, due vertici di particolare rilievo. Si tratta di due momenti, legati rispettivamente alla crocifissione di Gesù e alla sua manifestazione ai discepoli sul mare di Tiberiade.
Il primo momento si svolge ai piedi della croce di Gesù: «i soldati quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca».
Qui il Vangelo usa il salmo 22, il salmo che inizia con le parole dell’invocazione presente sulle labbra di Gesù nei soli Vangeli di Marco e di Matteo (non in quello di Luca!): «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido!».
Peraltro, in Marco l’invocazione che apre il salmo 21 viene pronunciata anche nella lingua materna di Gesù, l’aramaico: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?» (Mc 15,34; in Mt 27,46 abbiamo invece: «Elì, Elì, lemà sabactàni»), come in precedenza nella preghiera al Getsemani Gesù: «Abbà! Padre!» (Mc 14,36).
Dal medesimo salmo, citando letteralmente la sua versione greca, tratta dai Settanta, il quarto evangelista getta il suo sguardo alla veste «senza cuciture», e quindi «tessuta tutta in un pezzo dalla cima» per definirne il suo destino inatteso: questa tunica è assegnata al soldato che la riceverà in sorte. Allo stesso tempo sembra sottintendere la preghiera di Gesù sulla croce.
Torniamo però alla veste (“chitôn”). Infatti, per una ragione che non appare evidente ad un primo sguardo, questo indumento è esclusa dal bottino delle spoglie del condannato a morte che i suoi carnefici si autoassegnano: «presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato» (Gv 19,23). Viene in mente Giobbe: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21).
L’evangelista mette in rilievo come la tunica, «senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo dalla cima» (Gv 19,23), dovrà rimanere una sola. L’unico modo è quello di lasciarla intatta: «non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca» (Gv 19,24).
Il verbo qui usato dall’evangelista è grandemente significativo. Per limitarci al solo Giovanni, lo si trova solo nel secondo episodio che vedremo più avanti.
Da questo verbo deriva un termine non meno eloquente, “schisma”, usato nel quarto Vangelo in tre circostanze.
Nella prima scena si legge che «nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato». All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». E tra la gente nacque un dissenso (“schisma”) riguardo a lui. (Gv 7,37-43)
Nella seconda scena si legge che «alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso (“schisma”) tra loro» (Gv 9,16)
Infine, nella terza scena, leggiamo: «il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Sorse di nuovo dissenso (“schisma”) tra i Giudei per queste parole» (Gv 10,17-19).
La prima generazione cristiana ha reso questo linguaggio quello della divisione, o scissione – scisma appunto – all’interno della comunità dei credenti.
Qui si apre il riferimento al secondo momento, quello della pesca ottenuta dopo una notte insonne dei discepoli al tempo della manifestazione di Gesù risorto in Galilea: «Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete» (Gv 21,5-6).
E così accade in maniera del tutto inattesa. Dopo che Pietro ha raggiunto la riva, «gli altri discepoli vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri» (Gv 21,8). Così i discepoli «appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò» (Gv 21,11).
Ora, appare evidente, anche in contrasto con l’analogo episodio della pesca del vangelo di Luca, sempre dall’evidente tenore pasquale – che l’evangelista “trasporta” alla sezione dove racconta la chiamata dei primi discepoli: «presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano» (Lc 5,6). Ma il verbo usato non sembra avere la stessa intensità delle parole usate dal quarto vangelo.
Il vangelo di Giovanni registra dei fatti: sotto la croce, i soldati che assistono alla scena deliberatamente scelgono di non spezzare la tunica di Gesù; sulle rive del mare di Tiberiade (lago di Gennèsaret per Luca 5,1!) la voce del Signore che comanda la pesca dopo la notte senza pesci («gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete»: Gv 21,6) e senza obiezione alcuna vede i discepoli riprendere il mare, è altrettanto forte da non spezzare la rete.
Non sono le risorse dei discepoli ad essere decisive: non sono loro a creare l’unità, ma il loro Signore la cui veste rimane intatta anche dopo che gli è stata sottratta. Anche se sarà preda del soldato che la ottiene in sorte – ultima preda strappata alla vittima inerme – mette in primo piano la tunica come simbolo di qualcosa che nessuna forza umana potrà lacerare. Al pari della rete, che contiene l’universo delle creature, nessuna forza umana potrà dividere ciò che è stato creato come unito.
Il Signore che attende la gloria che gli viene dalla passione – il massimo dei paradossi –, e, innalzato sulla croce, attira tutti a sé (cf. Gv 12,32), una volta risorto diventa forza di unità che sconfigge tutte le lacerazioni e le divisioni, gli odî e le violenze, le guerre e le distruzioni.