Il Mantello della Giustizia – Giugno 2018
di Stefano Tarocchi • La cena di Gesù con i discepoli prima della passione è narrata in cinque differenti testi neotestamentari: oltre ai tre racconti dei Sinottici e a Giovanni (in cui mancano però le parole sul pane e sul calice del vino), appare infatti nel testo della prima lettera di Paolo ai Corinzi.
Quest’ultima, che precede letterariamente la stesura dei primi tre vangeli, parla esplicitamente di «Cena del Signore», è comunque strettamente collegata alla medesima tradizione che ritroviamo nel III Vangelo, connessa alla città di Antiochia di Siria. I testi di Marco e Matteo sono i testimoni della tradizione più antica, legata alla liturgia della chiesa di Gerusalemme. Riguardo allo svolgimento temporale della celebrazione pasquale esistono varie interpretazioni.
C’è anzitutto chi sostiene semplicemente che Gesù avrebbe celebrato la Cena eucaristica secondo il rito pasquale giudaico. È quanto sembrano indicare i Sinottici (così Mc 14,12: «il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua). Ma ciò è contraddetto da Giovanni, secondo cui i Giudei hanno celebrato la cena pasquale la sera del venerdì, il giorno della preparazione della festa («era la parasceve della Pasqua»: Gv 19,14). Quell’anno – quasi certamente il 30 dell’era cristiana – la Pasqua coincideva con il sabato: secondo il calendario ufficiale la parasceve, ossia “preparazione”, era il 14 del mese di Nisan, l’ultimo giorno prima del plenilunio successivo all’equinozio di primavera. Dice ancora Giovanni: «venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua… Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso» (Gv 19,33-34.36).
Altri sostengono che Gesù avrebbe celebrato la Pasqua secondo un calendario non ufficiale, ad esempio il calendario solare di Qumran, in contrapposizione al calendario lunare ufficiale. Questo permette anche di supporre una cronologia lunga degli eventi della passione, ad esempio collocando la Cena, il martedì, e tutti gli eventi fino alla morte di Gesù: i due processi, la condanna a morte, e così via.
Altri dicono infine, e anch’io fra questi, che Gesù avrebbe istituito l’Eucaristia durante una cena di addio, «prima della festa di Pasqua» (Gv 13,1)». Il testo del vangelo di Marco, al pari di quello di Luca, fa riferimento anche ad una «stanza interna» posta al «piano superiore» di un’abitazione, dalle dimensioni notevoli. Così, il banchetto di Gesù con i suoi discepoli, «a meno che la casa non fosse realmente enorme, prevede uno svolgimento riservato a Gesù e ai discepoli, in un tempo diverso dalla Pasqua: il che avrebbe richiesto la presenza anche della famiglia dell’ospite, anche se in altro luogo della casa». Pertanto, «Gesù scelse di fare un banchetto serale con i suoi seguaci più stretti nella casa di qualche sostenitore benestante di Gerusalemme il giovedì verso il tramonto, quando cominciava il quattordicesimo giorno di Nisan, il primo mese di primavera. La cena, benché non fosse un banchetto pasquale e non fosse celebrata come sostitutiva del banchetto pasquale, fu nondimeno qualcosa di più che non un normale banchetto» (così J. P. MEIER).
Il compimento al rito giudaico viene realizzato soltanto con la sua morte sacrificale, e non tanto con la Cena. In questo caso gli evangelisti vi avrebbero proiettato la loro fede confermata dalla risurrezione.
Prima ancora della cena avanti la Passione, il gesto di spezzare il pane appartiene alla tradizione di Gesù. I Vangeli raccontano, ad esempio, che «prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla» (Lc 9,16). Esso suscita la fede dei due discepoli di Emmaus, i quali, davanti agli Undici raccontano «come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24,35). Come scrive ancora Paolo ai Corinzi: «il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo» (1 Cor 10,16-17).
In quella vigilia della Pasqua resa nuova da Gesù, l’atto di condividere una cena, con i discepoli, è l’annuncio che la morte che seguirà di lì a poco, è la manifestazione di ciò che dice Giovanni: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1)».
Anche gli altri tre Vangeli lo confermano con chiarezza. Così Luca, all’inizio della cena, prima e dopo il calice iniziale: «ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio… da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio”» (Lc 22,15.18). O, subito dopo le parole sul calice, come dice anche Marco («In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio»: Mc 14,25) e anche Matteo («Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio» (Mt 26,29).