Giordania, tra Antico e Nuovo Testamento
Il Mantello della Giustizia | dicembre 2021
di Stefano Tarocchi · Di ritorno da un viaggio-studio in terra di Giordania, pensato e creato appositamente per sperimentare un viaggio fin nelle terre mediorientali in tempi di pandemia, mi sembra giusto condividere alcune riflessioni, necessariamente brevi.
Non si parlerà, ad esempio di Petra, di Jerash, né degli splendidi castelli crociati di Kerak e di Ajlun, e neanche dell’ingresso in terra d’Israele del popolo ebraico, attraverso il Giordano (Giosuè 3), come pure del combattimento sul fiume Yabbok tra Giacobbe / Israele e Dio (Gen 32). E non si parlerà neanche della fortezza di Macheronte, dove fu rinchiuso e ucciso Giovanni il Battista.
La terra che si estende ad Oriente del Giordano, che da esso di fatto prende nome, pur condividendo con il vicino stato di Israele il confine naturale creato dal fiume omonimo, non di meno presenta delle caratteristiche uniche.
È noto che fino alla guerra dei sei giorni (giugno 1967) il Regno Hashemita di Giordania si spingeva fino a Gerusalemme. Alcuni ricorderanno bene il viaggio compiuto da papa Paolo VI nella città santa: si era in pieno Concilio (gennaio 1964), e il vescovo di Roma, primo dopo tanti secoli, volle spingersi nella terra da cui aveva avuto origine il Vangelo. Incontrò in Galilea nel sito di Megiddo, anche il governo dello Stato di Israele, in cui anche senza nominare mai lo stato ebraico o i titoli ufficiali dei suoi rappresentanti, fece un riferimento positivo al “popolo dell’Alleanza”: di fatto compì il suo pellegrinaggio sotto il regno di re Hussein.
Vorrei parlare in questa breve nota della prima e dell’ultima tappa del viaggio, a cominciare dal luogo dove Gesù ricevette il battesimo da Giovanni Battista.
Nel Vangelo secondo Giovanni troviamo due indicazioni – le uniche dei Vangeli – sul luogo dove Giovanni predicava e battezzava. La prima indicazione precisa che Giovanni il Battista operava «in Betania, al di là del Giordano» (Gv 1,28). La seconda indicazione riporta il racconto allo stesso luogo: (Gesù) «ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava» (Gv 10,40).
Con Gv 1,28 inizia il ministero pubblico di Gesù dopo il solenne prologo (Gv 1,1-18). La ripresa del medesimo luogo in Gv 10,40 forma una grande inclusione che racchiude tutta la prima parte del Vangelo di Giovanni, da Gv 1,19 a 10,40. Il ministero di Gesù inizia «in Betania, al di là del Giordano», e si conclude nello stesso luogo di partenza.
La località è però attestata con il nome di «Betabàra» da Origene (e da Giovanni Crisostomo, che la colloca «da qualche parte vicino a Gerusalemme»), che non aveva trovato nei suoi viaggi un luogo come «Betania al di là del Giordano».
Il sito, i cui lavori di scavo, resi più complessi per motivi che vanno oltre la routine in materia, hanno confermato l’esattezza dei dati forniti dal Quarto Vangelo. Esso stato visitato da papa Francesco e dai suoi immediati predecessori.
Nella cittadina di «Betania al di là del Giordano», ma curiosamente sul lato occidentale del fiume (e non su quello orientale come ci aspetteremmo), questo stesso nome ritorna nella celebre mappa del Medio Oriente risalente al VI secolo, riscoperta nella chiesa bizantina di San Giorgio a Madaba, cittadina famosa per gli straordinari mosaici, che si estendono fino a Umm ar-Rasas, distante circa trenta chilometri da Madaba stessa, teatro degli scavi del padre Michele Piccirillo, iniziati nel 1986.
Come scrive Piccirillo, fu un monaco greco ortodosso, un certo «Abuna Kleofas Kikilides a realizzare il vero significato, per la storia della regione, della mappa visitando Madaba nel dicembre del 1896. Un frate francescano di origine italo-croata nato a Costantinopoli, frate Girolamo Golubovich, aiutò Abuna Kleofas a stampare un opuscolo in greco sulla mappa della tipografia francescana di Gerusalemme. Subito dopo, la inqu pubblicò un lungo e dettagliato studio storico-geografico della mappa da parte dei padri domenicani M. J. Lagrange e H. Vincent dopo aver visitato il sito stesso».
P. Michele Piccirillo è stato il grande archeologo francescano (1944-2008), che realizzò fra gli altri gli scavi che hanno condotto a riportare alla luce il sito battesimale dopo un lungo abbandono. Il che ha permesso di valorizzare anche il sito sul lato posto nello stato di Israele, a lungo inaccessibile perché situato in una zona militarizzata, in quanto a rischio delle mine collocate nelle strisce di confine venutesi a creare dopo la guerra del 1967.
Ma il ruolo di p. Piccirillo è stato importante anche nel sito che abbiamo visitato nell’ultima tappa del viaggio: nel celebre sito francescano del Monte Nebo ha dato impulso il lungo lavoro – concluso dopo la sua morte – che ha permesso di restituire ai visitatori il memoriale di Mosè collocato in cima all’altura.
Ora, sopra una delle cinque cime della montagna (Syagha), già nel 1933 furono scoperti i resti di una chiesa, dalla pianta tipica della basilica, costruita nella seconda metà del IV secolo per commemorare il posto in cui Mosè morì.
Come scrive il Deuteronomio: «in quello stesso giorno il Signore disse a Mosè: «Sali su questo monte degli Abarìm, sul monte Nebo, che è nella terra di Moab, di fronte a Gerico, e contempla la terra di Canaan, che io do in possesso agli Israeliti. Muori sul monte sul quale stai per salire e riunisciti ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello è morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati, perché siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque di Merìba di Kades, nel deserto di Sin, e non avete manifestato la mia santità in mezzo agli Israeliti. Tu vedrai la terra davanti a te, ma là, nella terra che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai!» (Dt 32,48-52).
La basilica del Nebo fu ampliata alla fine del V secolo e ricostruita nel 597: che permette di visitare e conservare in condizioni ottimali i meravigliosi mosaici che racchiude: è uno dei suoi meriti principali.
Fu infatti lui a disegnare l’edificio che ricostruiva l’antica chiesa del Memoriale di Mosè, durata diversi anni, ben oltre la sua morte, e che permette la perfetta conservazione e l’ottimale fruizione degli splendidi mosaici pavimentali che contiene, un’eccezione preziosa nel territorio circostante. Basta pensare agli edifici di Umm ar-Rasas, e alla chiesa di San Giorgio a Madaba, e agli altri edifici della cittadina.
Nei pressi della basilica del Memoriale, si trova anche il luogo che raccoglie le spoglie mortali di P. Michele, morto a Livorno, e la cui salma fu trasportata in Giordania dall’aereo personale dell’attuale re di Giordania, re Abdallah II, di cui aveva condiviso l’amicizia.
Dal Vangelo all’archeologia e viceversa, dentro il mondo della parola di Dio, tra Antico e Nuovo Testamento.