Calendario Aprile – Agosto 2018

mercoledì 2 maggio 2018 S. Lucia al Borghetto (Tavarnelle)   INCONTRO OPERATORI PASTORALI DELLA CARITA’
sabato 5 maggio 2018  parrocchia 15:30 -18:45 Ritiro della I Comunione 
sabato 12 maggio 2018  parrocchia 15:30 -18,45 Ritiro della Cresima
domenica 13 maggio 2018 Ascensione 10:30 S. Messa della Prima Comunione
domenica 20 maggio 2018 Pentecoste 10:30 S. Messa della Cresima
domenica 27 maggio 2018 SS. Trinità 10:30 S. Messa
domenica 3 giugno 2018 Corpus Domini 10:30 S. Messa [al termine processione eucaristica]
venerdì 8 giugno 2018 Sacro Cuore di Gesù 8:00 S. Messa
domenica 10 giugno 2018 S. Cassiano a  S. Casciano V.P. 17:00 S.MESSA CONCLUSIVA DELLA VISITA PASTORALE 
domenica 24 giugno 2018 S. Giovanni Battista 10:30 S. Messa
venerdì 29 giugno 2018 SS. Pietro e Paolo 18:00 S. Messa
domenica 5 agosto 2018 XVII dom. T.O/ Madonna della Neve 10:30 S. Messa [Cappella Tani]
mercoledì 15 agosto 2018 Assunzione di Maria 10:30 S. Messa

«Guai a me se non annuncio il Vangelo»

Il mantello della giustizia – Marzo 2018

7687-odi Stefano Tarocchi • Quando l’apostolo Paolo parla delle manifestazioni del risorto, scrive nella prima lettera ai Corinzi: «Ultimo fra tutti apparve anche a me» (1 Cor 15,8). Conferma così il triplice racconto della sua chiamata sulla via di Damasco, narrato dagli Atti degli Apostoli; è da notare, infatti, che nella stessa lettera ai Corinzi, scrive proprio così: «Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro?» (1 Cor 9,1), quando rivendica il suo titolo di inviato («apostolo»)

Qui si innestano tutte le dinamiche della sua missione: «il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo» (1 Cor 9,14). Lo ha appena espresso con chiarezza: «Se noi abbiamo seminato in voi beni spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali?» (1 Cor 9,11). E che questo sia un lavoro, è stato esplicitato proprio all’inizio della sezione della medesima lettera: «non siete voi la mia opera nel Signore? (1 Cor 9,1).

Il suo ragionamento è ancora più stringente: riferendosi alla Scrittura (Deuteronomio 25,4: «non metterai la museruola al bue mentre sta trebbiando»), Paolo si chiede: «forse Dio si prende cura dei buoi? Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di avere la sua parte» (1 Cor 9,9-10). Si tratta di una argomentazione detta a fortiori: se Dio si prende cura delle creature «senza ragione», a maggior ragione Dio si prende cura della creatura che pensa. Notava argutamente Martin Lutero che il testo del Deuteronomio non è stato scritto per i buoi, dato che «i buoi non sanno leggere».

Anche in una delle lettere pastorali si fa ricorso alla medesima citazione (1 Tim 5,18: «dice la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia, e: Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa»). Proprio quest’ultimo elemento si trova comunque in sintonia con le istruzioni date da Gesù agli apostoli nella loro missione, come le riferisce il vangelo secondo Matteo: «chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,10). È da chiedersi: qual è il collegamento fra Matteo e questo testo, vista la premessa che collega un testo veterotestamentario (Dt 25,4) a quest’ultimo? Se è vero che Paolo scrive vent’anni prima della tradizione evangelica, «probabilmente … ha riformulato a suo modo un detto di Gesù che aveva altra forma».

A questo complesso di cose legato ad una ricompensa Paolo però decide di rinunciare: «io non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti. Preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto!» (1Cor 9,15). Per arrivare a questa conclusione senza via di uscita, Paolo argomenta, in nome del Vangelo: «noi non abbiamo voluto servirci di questo diritto ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al vangelo di Cristo. Non sapete che quelli che celebrano il culto, dal culto traggono il vitto, e quelli che servono all’altare, dall’altare ricevono la loro parte? Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo» (1 Cor 9,12-14).

Quello che dice quasi all’esordio della medesima lettera come difesa del proprio ministero, (1 Cor 4,12: «ci affatichiamo lavorando con le nostre mani»), ha un’unica eccezione: la chiesa di Filippi: «lo sapete anche voi, Filippesi, che all’inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; e anche a Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto» (Fil 4,15-17).

Peraltro, davanti alla chiesa di Corinto, Paolo non si limita a mettere in rilievo la posizione sua e quella di Barnaba, suo compagno di missione (si veda At 4,36; 9,27; 11,22.30; 12,25; i capp. 13-15): «soltanto io e Bàrnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? Chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così» (1 Cor 9,6-8). E aggiunge che questo testo: «certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di avere la sua parte» (1 Cor 9,10).

Sulla stessa lunghezza d’onda, l’apostolo si spinge anche oltre: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» (1 Cor 9,5). Ora, il testo della traduzione CEI è alquanto contorto: in realtà, Paolo sta parlando di una «credente, come moglie». Anche questo è un diritto riconosciuto agli altri apostoli, fino a Pietro («Cefa»).

Ciò che gli sta a cuore è tutt’altro: «annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo» (1 Cor 9,16-18).

Si direbbe rovesciata la logica che normalmente viene usata nella nostra esperienza quotidiana: non ci attendiamo una ricompensa quando affrontiamo volontariamente un compito, ma, al contrario, quando ci viene affidato.

Nasce così la riflessione sul ministero apostolico come dimensione di servizio e di apertura verso tutti, laddove sono stati collocati dall’azione provvidenziale: «pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9, 19-22).

L’azione dell’apostolo è solo l’annuncio del Vangelo: «tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1 Cor 9,23). Nell’annuncio agli altri, in qualunque situazione esistenziale si trovino, Paolo annuncia il Vangelo anche a sé stesso.

Pasqua 2018

 25 marzo Domenica delle Palme 10:30 S. Messa
 26 marzo Lunedì Santo 17:30 Unzione dei Malati
18:00 Via Crucis
 29 marzo Giovedì Santo 18:00 S. Messa in Cena Domini [segue l’adorazione eucaristica fino alle 22:30]
 30 marzo Venerdì Santo 18:00 Liturgia della Passione [lettura della passione, adorazione della croce e comunione]
 31 marzo Sabato Santo 9:30 Confessioni [fino alle 12:00]
22:00 Veglia Pasquale [benedizione del fuoco; annuncio pasquale; liturgia della Parola; liturgia battesimale; Eucaristia]
 1 aprile Pasqua di Risurrezione 8:30 e 10:30 SS. Messe
 2 aprile Lunedi dell’angelo 10:30 S. Messa

 

La chiamata di Paolo

Il mantello della giustizia – Febbraio 2018

Paul_Papyrusdi Stefano Tarocchi • È un fatto che il libro degli Atti utilizzi la strada di un triplice racconto per trasmettere ai suoi lettori quell’episodio chiave che cambiò definitivamente il cammino di Paolo di Tarso. Le altre narrazioni derivano dalle lettere, a cominciare dal racconto della lettera ai Galati, che usa lo stesso verbo perseguitare, che ritroviamo nelle parole di Gesù a Paolo sulla via di Damasco. Tra l’altro, Non possiamo dire con certezza che questo fatto – l’autorità del sommo sacerdote sulle comunità giudaiche al di fuori di Gerusalemme – sia storicamente provata, anche se un testo del primo libro dei Maccabei sembrerebbe ammettere questa possibilità (cf. 1 Mac 15,16-21).

Scrive san Paolo ai Galati: «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore» (Gal 1,13-19).

Si trovano accenni alla chiamata di Paolo anche in altri scritti dell’apostolo, ad esempio nella lettera ai Filippesi, quando Paolo dice di sé: «non ho certo raggiunto [la mèta], non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte. Corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,12-14).

Ma è soprattutto nella prima lettera ai Corinzi che abbiamo forse l’elemento decisivo, quando l’apostolo enumera le manifestazioni del Risorto ai discepoli: «a voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito, apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre, apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli». E così conclude: «ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto [ossia qualcuno che non hai mai raggiunto lo sviluppo pieno della vita]. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1 Cor 15,8-9).

Ancora una volta sembra essere la persecuzione devastante la cifra dell’agire di Paolo prima di ricevere la chiamata.

Così non è casuale che anche i tre racconti della vocazione del libro degli Atti riportino la stessa espressione di Gesù («Io sono Gesù, che tu perséguiti!») davanti alla domanda di Paolo («Chi sei, o Signore?»), che segue la prima interrogazione di Gesù («Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?»). Ecco il testo dei tre racconti in successione: «e avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perséguiti!» (At 9,3-5); «mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?». Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti» (At 22,6-8); «); «verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo». E io dissi: «Chi sei, o Signore?». E il Signore rispose: «Io sono Gesù, che tu perséguiti» (At 26,13-15).

Ancor più interessante è la registrazione di un punto particolare dell’evento come è registrata, nella successione dei racconti, stavolta solo il primo e il secondo: «gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno» (At 9,7); «quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava» (At 22,9).

Dunque, facoltà sensoriali differenti vengono a colpire quanti accompagnano Paolo, ma non lui stesso, definito con esattezza nelle parole rivolte ad Anania, ancora titubante («ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome» At 9,13-14): «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15-16).

Nelle lettere pastorali si aggiunge un ulteriore tassello, dovuto alla ricostruzione della figura dell’apostolo all’interno della comunità primitiva: «Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede» (1 Tim 1,13).

Ora, il primo dei tre aggettivi usati («bestemmiatore»), oltre al consueto significato religioso, ne ha un altro per estensione, congruo con questo contesto: “diffamare, dire male, sparlare, screditare”. Il terzo aggettivo («violento») – anche questa definizione, come l’altra è tratta dal Rocci – significa “insolenza, tracotanza, ‎‎sfrenata violenza, ‎ derivante dall’orgoglio di forza o di passione”. Il secondo aggettivo («persecutore») è la denominazione classica di colui che è passato dal suo ruolo opposto ai seguaci del Vangelo, tanto importante da segnalare anche ciò che accadde alla comunità dopo la morte cruenta di Stefano: «Saulo approvava la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria» (At 8,1).

Nei testi precedenti si incontra anche il verbo «devastare»: il suo impiego nei confronti di una persona significa «oltraggiare, rovinare, maltrattare». Escluderei l’aspetto fisico, che qualche autore invece ammette, anche se negli Atti leggiamo: «Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano» (At 22,19-20). Non è che Paolo abbia voluto attaccare le persone, quanto piuttosto la loro fede: «egli intendeva scalzare la credenza della chiesa, cercando di dimostrare mediante la Scrittura che il crocifisso non poteva essere il Messia» (C. Spicq).

Comunque sia non si trattò di una conversione dell’apostolo, come siamo soliti definire la festa che ricorre il 25 gennaio, ma di una vera e propria chiamata, secondo il libro degli Atti, con tutti i caratteri di una vera e propria teofania. Questa chiamata impone comunque una missione: «Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni» (At 22,21). Che è poi quello che leggiamo molto bene nella lettera ai Galati, dapprima all’inizio del cammino di Paolo fra i discepoli di Gesù («Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti (Gal 1,15-16), e quindi dopo la controversia con Cefa. Così Paolo: «visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti» (Gal 2,7-8).