Il Padre Nostro secondo Jean Carmignac
Il Mantello della Giustizia – Gennaio 2020
di Stefano Tarocchi • Scrive papa Francesco in Evangelii gaudium che se «il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma», è vero che «non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari» (EG 235). Il papa aggiunge che «il modello non è la sfera che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto all’altro. Il modello è il poliedro che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (EG 236)».
Mi sono tornate in mente queste parole in margine al volume che ricostruisce la vicenda di padre Jean Carmignac (Il Padre Nostro e i Rotoli di Qumran nel lavoro scientifico di Jean Carmignac, LEF, Firenze 2019) nella sua ricerca accurata, quasi puntigliosa di provare le origini aramaiche al Vangelo ed i Vangeli. In sostanza, egli sosteneva – la traduzione italiana uscì in un libretto della S. Paolo del 1984 – che gli attuali Vangeli sono la traduzione in greco dell’originale ebraico, in realtà vicino alla lingua dei rotoli di Qumran. Da qui Carmignac prese spunto per la sua tesi. L’indagine sul p. Carmignac, condotta da una studiosa italiana, Roberta Collu, già docente all’Institut Catholic de Paris muove dalla tesi di Carmignac, fu respinta in maniera anche molto dura da studiosi, peraltro suoi connazionali, come Pierre Grelot.
È nota la testimonianza di Papìa, vescovo di Gerapoli (70-130 d.C.). Questi afferma che «Matteo ordinò i detti (loghia) [del Signore] in lingua ebraica. Ciascuno poi li interpretò come ne era capace» (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 39, 16). Ma anche s. Ireneo di Lione (140-200) scrive che «Matteo tra gli Ebrei nella loro propria lingua pubblicò un Vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e fondavano la chiesa» (Eusebio, Storia Ecclesiastica, V, 8, 2-4).
Ora il libro di cui ci occupiamo, aperto dalla prefazione di P. Loiseau, affronta fra le molte altre la traduzione del Padre nostro facendo riemergere i tratti messi in luce da Carmignac, e quindi di fatto riprendendo in mano la nota questione della italiana del nos inducas in tentationem, di cui molte volte ci siamo occupati.
L’editore che pubblica il saggio cita espressamente il controverso Carsten P. Thiede, “papirografo” implicato in numerose vicende non molto limpide prima della sua improvvisa scomparsa. Tutto ciò costituiva un J’accuse senza remissione alle correnti maggioritarie in campo esegetico che stabiliscono su una datazione dei Vangeli sinottici tra la fine degli anni 60 e gli anni 90 del I secolo.
In sostanza veniva a crearsi una linea di pensiero, tesa a sostenere per ragioni ulteriori che gli attuali Vangeli erano stati scritti pressoché contemporaneamente agli eventi ai quali fanno riferimento. Il Thiede oltre si schierava a tutto campo per la presenza di alcuni frammenti di testi evangelici nella settima grotta di Qumran. Ipotesi, com’è noto, rivelatasi poi del tutto infondata.
Paradossalmente, infatti, la tesi che avvicina la formazione dei Vangeli all’epoca degli eventi neotestamentari mina alle radici il singolare rapporto tra scrittura e tradizione come poi si era venuto a formare soprattutto al tempo del Concilio Vaticano secondo nella costituzione dogmatica Dei Verbum.
Ma torniamo al Padre Nostro secondo Jean Carmignac: l’autrice del libro, dopo una introduzione in cui affronta uno studio attento della vita e delle opere del Carmignac, auspica fra l’altro un ripensamento della infelice resa della traduzione CEI del 2008 (“non abbandonarci alla tentazione”), che scorrettamente è stata già introdotta in alcune parrocchie italiane – e qualche zelante esporta anche altrove, con lo stesso tono della voce.
E qui ci torna in aiuto l’immagine del poliedro: la Collu, infatti affida ad un ebreo ortodosso franco-israeliano, un rabbino, la proposta del Carmignac sul Padre Nostro: «e non farci penetrare nella prova», oppure, molto più liberamente, secondo il contributo di un altro autore ebraico, un talmudista: «allontanaci dall’inclinazione al male». Lei stessa, affrontando la tradizione dovuta ad uno studio specifico del Carmignac (1969), propone in italiano «non permettere che entriamo, non lasciarci entrare nella prova».
Se, come dice l’apostolo, «tutto concorre al bene» (Rom 8,28), perché non ascoltare queste voci?